
“Ogni bambino ha il legittimo bisogno di essere guardato, capito, preso sul serio e rispettato dalla propria madre[…]. Un’immagine di Winnicott illustra benissimo la situazione: la madre guarda il bambino che tiene in braccio, il piccolo guarda la madre in volto e vi si ritrova…a patto che la madre guardi davvero quell’esserino indifeso nella sua unicità, e non osservi invece le proprie attese e paure, i progetti che imbastisce per il figlio, che proietta su di lui. In questo caso nel volto della madre il bambino non troverà sé stesso, ma le esigenze della madre. Rimarrà allora senza specchio, e per tutta la vita continuerà invano a cercarlo”.
(Alice Miller, Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero Sé, 1996, p. 37)
A quale prezzo psicologico si ottiene un “bravo bambino”?
Di quali sottili violenze è capace l’amore materno?
Per l’autrice il dramma del “bambino dotato” – il bambino che è l’orgoglio dei suoi genitori – ha origine nella sua capacità di cogliere i bisogni inconsci dei genitori e di adattarvisi, mettendo a tacere i suoi sentimenti più spontanei (la rabbia, l’indignazione, la paura, l’invidia) che risultano inaccettabili ai grandi.
In tal modo, viene soffocato lo sviluppo della personalità più autentica, e il bambino soffrirà di insicurezza affettiva e di una sorta di impoverimento psichico. Da adulto, sarà depresso, oppure si nasconderà dietro una facciata di grandiosità maniacale.
Numerosissimi esempi documentano la sofferenza inespressa di questi bambini e, al tempo stesso, le difficoltà dei genitori, incapaci di essere disponibili verso i figli.